Favete Linguis. Applausi scroscianti a Spoleto per “Cetra… Una volta”

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Ultima data di stagione col botto lo scorso 10 gennaio, dopo la data saltata a causa del terremoto, per lo spettacolo “Cetra… Una volta” che ha salutato un pubblico entusiasta. Al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto, il talentuoso trio dei Favete Linguis, al secolo Toni Fornari, Stefano e Emanuela Fresi, ha raccontato, in modo del tutto originale e personale, il “mitico” Quartetto Cetra, con la regia di Augusto Fornari e le scene di Alessandro Chiti.

Uno spettacolo esilarante, a tratti anche per gli attori (Stefano Fresi è stato colpito da un’irrefrenabile, e contagiosa, “risarola” nel bel mezzo di uno sketch!), fatto di arte, talento vocale e attoriale, oltre che di motivi che tutti, a prescindere dall’età, conosciamo.

Complice la carta d’identità, o le Teche RAI, i successi del Quartetto formato da Felice Chiusano, Giovanni “Tata” Giacobetti, Lucia Mannucci e Virgilio Savona, sono di casa nei timpani di giovani e meno giovani (non foss’altro che per “La vecchia Fattoria”), con il loro garbo e la loro elegante ironia.

Ma lo spettacolo è molto di più di una celebrazione: è l’omaggio a un’epoca fortunata nella quale una ingente concentrazione di talenti ha lasciato una eredità enorme (e indubbiamente difficile da eguagliare) come le insuperate coppie di autori Amurri e Verde per la radio e televisione e Garinei e Giovannini per il teatro (ma potrei nominare Gigi Magni, Iaia Fiastri e via andare), oltre a maestri assoluti del calibro di Ennio Morricone e Armando Trovajoli, che hanno reso gli anni del varietà e della commedia musicale veri e propri anni d’oro dello spettacolo italiano.

Non solo Cetra, ma la musica italiana e internazionale tra gli anni ’40 e ’60 è il filo rosso sul quale le talentuose ugole dei tre divertono e si divertono, tra tecnica e cuore.

Ma c’è un nome che aleggia a mio parere, seppur mai pronunciato, sullo spettacolo: quello dell’immenso Gigi Proietti.

Sarà perché lo ritengo un insuperato protagonista del teatro e dello spettacolo televisivo, sarà perché ho visto per la prima volta i Favete Linguis in qualità di ospiti nella trasposizione televisiva dei suoi “Cavalli di battaglia”, sarà perché la comicità romana ha uno stile tutto suo, ma, in due occasioni soprattutto, all’interno dello spettacolo, l’omaggio a Proietti è palese. La prima “citazione” la ritrovo in una battuta del perfido Jago (Stefano Fresi), nella trasposizione dell’Otello Shakespeariano in stile “Biblioteca di Studio Uno”; il cattivo consigliere di Otello si lagna dei troppi personaggi presenti nella tragedia in rapporto ai pochi interpreti in scena, e ricorda da molto vicino la battuta di Gigi Proietti che, nell’insuperata prova d’attore che è stata la commedia musicale “I sette Re di Roma”, nei panni di Servio Tullio si lamenta che “Sette Re saranno pochi per la Storia, ma so’ troppi per un attore solo!”.

Il secondo, evidente, omaggio, sta nella riproposizione della gag dei “suggerimenti sbagliati” dell’indimenticabile “Signora delle Camelie” di Proietti, che il trio adotta, con risultati altrettanto esilaranti, in un brano del “Giulio Cesare” del bardo di Stratford.

In un’ora e mezza si concentra tutto il meglio della nostra cultura popolare nella migliore accezione del termine, quella cultura, cioè, destinata ad un largo pubblico, ma non disgiunta dalla professionalità di autori e interpreti che sanno far ridere, di cuore, usando il cervello.

Benedetta Tintillini

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